Quando la pizza significa pace: il campo di accoglienza per profughi ucraini realizzato da Italpizza in Polonia
Si trova a Przemyšl, al confine confine tra i due Paesi e la Russia. Antonio Montanini, direttore ufficio corporate dell’azienda di Modena: «Volevamo esserci davvero, restare sul campo, guardare in faccia chi stava vivendo l’inferno della guerra e dare un contributo concreto»
MODENA. Nel cuore di quella parte d’Europa ferita dalla guerra, tra il confine polacco e ucraino, c’era un angolo di calore inaspettato. Non erano solo i forni accesi a riscaldare l’aria pungente, ma mani operose, volontari instancabili e un messaggio di pace racchiuso nel gesto più semplice: offrire una pizza a chi aveva perso tutto, anche le speranze. Chi è il protagonista di questa iniziativa? Italpizza, che con la sua missione umanitaria ha fatto molto più che portare aiuti: ha costruito un ponte di solidarietà e speranza tra chi dona e chi riceve.
Il racconto
Ma raccontiamo tutto dall’inizio. Era il 30 marzo 2022 quando da Modena è partito un convoglio carico di uomini, attrezzature e una determinazione incrollabile. In poche ore, sotto la pioggia e la neve, il campo era già in funzione a Przemyšl, in Polonia, a pochi chilometri dalla frontiera ucraina, diventando l’unico campo permanentemente italiano sul territorio. «Non volevamo limitarci a un gesto simbolico – spiega Antonio Montanini, direttore ufficio corporate di Italpizza –. Non volevamo essere quelli che portano aiuti, scattano una foto e tornano a casa. Volevamo esserci davvero, restare sul campo, guardare in faccia chi stava vivendo l’inferno della guerra e dare un contributo concreto». E non era la prima volta che l’azienda si metteva in gioco: c’era già stata, infatti, un’esperienza pregressa durante la pandemia, quando aveva organizzato una rete di distribuzione di pizze gratuite ad associazioni di volontariato e strutture sanitarie. «Durante l’anno del Covid abbiamo capito che la pizza non è solo cibo, è conforto, è una pausa dal dolore – spiega Montanini –. E cosí, dopo lo scoppio della guerra, le nostre preoccupazioni sono andate ai nostri dipendenti ucraini: una cinquantina di persone che improvvisamente hanno visto andare in fumo le loro radici, i ricordi d’infanzia. Alcuni anche i propri cari. Ci siamo subito mossi per cercare di aiutarli». In quel periodo non era semplice intervenire: «Volevamo essere un supporto per i nostri lavoratori e non solo. Ci si muova ancora timidamente, agli inizi, su questo tema. Ma eravamo determinati, e c’è stato un punto in cui ci siamo detti: muoviamoci noi – continua –. Siamo entrati in contatto con l’ambasciata ucraina a Roma e abbiamo trovato il modo di agire grazie ai loro suggerimenti. Ci hanno indicato Przemyšl, una città al confine tra la Polonia e la Russia, perché lì si concentrava il maggior numero di profughi in fuga. E cosí siamo partiti».
Il campo Italpizza
L’idea iniziale era di rimanere due settimane. Ma l’esigenza, e la determinazione dei volontari, ha portato Italpizza a restare in loco per due mesi, diventando un punto di riferimento per tutte le organizzazioni umanitarie presenti. «Il nostro campo non era solo un luogo di distribuzione di cibo – ricorda Montanini – era un centro di prima accoglienza. Abbiamo allestito un magazzino per i beni di prima necessità, fornito un’ambulanza per le emergenze, e un pulmino per il trasporto di disabili». Ma il cuore della missione restava comunque la pizza: in due mesi, ne sono state distribuite 125mila. «Abbiamo lavorato senza sosta – racconta Montanini –. Due tende da protezione civile, 6 gazebi, 15 forni, 2 bagni chimici, un potente generatore di corrente con relativa impiantistica elettrica ed idraulica e oltre una decina di automezzi. Per tutta la durata della missione sono stati organizzati sette contingenti che hanno impegnato tra tecnici e volontari, quasi 100 operatori, i quali, senza sosta, hanno lavorato dalla mattina presto alla notte per la causa. Sentivamo la fatica, ma sapevamo che non stavamo solo dando da mangiare. Stavamo restituendo un frammento di normalità».
Un grande grazie
L’iniziativa ha ricevuto il plauso delle istituzioni locali e delle Ong internazionali. «Il sindaco di Przemyšl ci ha persino dedicato un’opera d’arte: una pizza scolpita con una dedica incisa. Un riconoscimento che non ci aspettavamo, ma che dimostra quanto questo progetto abbia avuto un impatto. Ne siamo davvero felici». E l’impegno non si è fermato con la fine della missione fisica. Italpizza, tutt’oggi, continua a inviare bancali di pizze ai centri di accoglienza ucraini. «Non volevamo che fosse un gesto isolato – conclude Montanini –. La guerra purtroppo non è ancora finita, e il nostro dovere, ora più che mai, è di continuare a fare quello che possiamo. La pizza per noi è sempre stata un simbolo di convivialità e unione. Un cibo confortante, che dà calore. Speriamo che un giorno, quando tutto questo sarà solo un ricordo doloroso, chi oggi è in guerra possa sedersi insieme a un tavolo e mangiarne una. Magari sarà quello il vero segno della pace».
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