Nel nuovo negozio Swatch in centro: «Siamo a Modena perché qui abitano energia e felicità»
Carlo Giordanetti, ceo di Swatch Art Peace Hotel, saluta l’apertura dello store sotto i Portici del Collegio nel palazzo della Fondazione Collegio San Carlo: «In questa terra si percepisce chiaramente la voglia di arrivare a ottenere un risultato»
MODENA. «Se siamo venuti a Modena, è perché qui abitano energia e felicità». Parola di Carlo Giordanetti, ceo di Swatch Art Peace Hotel e membro del cda di Swatch Ltd, che è un pezzo di storia vivente del marchio svizzero. È tra coloro che hanno voluto aggiungere Modena alla lista degli store gestiti direttamente dalla casa madre, un privilegio che non capita a tanti: ieri l’inaugurazione, un bel segnale per il centro storico della città. Swatch ha scelto il cuore pulsante, i Portici del Collegio, dove abitano storia, cultura e meraviglia. Swatch è, senza dubbio, queste tre cose insieme.
Giordanetti, Modena che cosa le suscita?
«I ricordi di una cara amica e una città che vive di emozioni. Oggi, quando si fanno investimenti nel mondo del retail, la scelta è più che mai ragionata. Swatch ha una tradizione e va dove il brand si può esprimere al meglio, dove può essere abbracciato».
Ci raffiguri questo abbraccio.
«A noi piace leggere l’ora, ma è una scusa per raccontare storie, incontrare persone, suscitare e vivere emozioni. Modena non è una città grande ma ha grandi potenzialità in questo senso. E poi è culla del made in Italy, a noi che siamo svizzeri piace essere associati a questo. Ci eravamo anche già passati da Modena...».
Quando?
«L’anno scorso avevamo fermato la nostra 500 del tour Moonswatch davanti ai cancelli della Ferrari a Maranello. Si percepisce in questa terra la costante voglia di arrivare ad ottenere un risultato».
Swatch come sta?
«Ha compiuto quarant’anni e come tutti i quarantenni vive pulsioni contrapposte. Abbiamo tirato fuori il modello quadrato, qualcosa che era stato studiato da Swatch ma mai prodotto prima. Addirittura a quarant’anni mi metto in discussione e mi guardo attorno: il fenomeno del momento sono le collaborazioni, tra colori, marchi e materiali. Con Omega il primo esempio, poi un gesto ancora più coraggioso con Blancpain. Ma a quarant’anni vuoi ancora bene alla mamma, torni alle tue radici: i modelli rivisitati, l’arte che ti apre al mondo, le storie che racconti come la dedica alla Regina Elisabetta. È un mondo vastissimo ma in costante ricerca».
Stiamo sull’arte, che Swatch ha nell’anima.
«È un moto perpetuo. Le collaborazioni con gli artisti, gli eventi, le partnership con le istituzioni culturali e i musei: qualcosa tornerà anche in autunno. A Shanghai abbiamo un vero e proprio osservatorio perché per noi gli artisti sono quelli che fanno le domande più interessanti, è fondamentale creare un gesto fisico: per noi è un dialogo indispensabile per creare non tanto il prodotto, quanto piuttosto cultura dentro l’azienda».
E il palazzo di Modena dove ha sede lo Store ha 400 anni di cultura, custoditi dalla Fondazione Collegio San Carlo che ieri ha festeggiato una nuova apertura di prestigio nei suoi spazi.
Come si rende credibile il rapporto tra industria e arte?
«Sembrano le parole di una canzone sdolcinata, ma lo penso davvero: amore e passione con leggerezza».
Che Swatch sta indossando?
«Un Mission to Earth: devo parlare a dei ragazzi e volevo portare loro un messaggio di fortuna».
Qual è il suo Swatch preferito?
«Uno è poco, me ne servono almeno tre. Inizio con il Don’t be too late: è il primo orologio che mi è stato regalato. Poi il Jelly Fish, che penso incarni perfettamente lo spirito dell’azienda. E quello dedicato alla Regina Elisabetta: lo porto poco ma ce l’ho nel cuore ».
Lo Swatch che deve ancora realizzare?
«Come faccio a dirglielo?».
Allora quello che vorrebbe realizzare.
«Vorrei riproporre il Nautilus - pezzo iconico degli anni Ottanta - ma i miei collaboratori non me lo hanno ancora consentito», ride.
Quale sarà la prossima sfida?
«Intanto far decollare il negozio di Modena, visto che siamo qui. Poi continuare a destare interesse in maniera rispettosa. Provocare, questa è la parola, facendolo nel modo giusto, con intelligenza. Abbiamo bisogno di continuare a lanciare messaggi».
L’attualità imporrebbe uno Swatch per un messaggio di pace.
«Perché no, ma non deve essere solo un esercizio. Va portato avanti con intelligenza. Il primo Swatch da fare, in questo senso, sarebbe forse quello del “buon consiglio”: servirebbe una visione capace di portare chiarezza e non caos o agitazione. La volontà è quella di essere credibili, anche nel nostro messaggio come innovatori».
Sui temi ambientali avete ideato e innovato: il materiale bioceramic è vostro.
«Siamo svizzeri anche in questo: non ci facciamo paladini di utopia, ma in modo onesto e trasparente ci prendiamo le nostre responsabilità su un tema centrale come quello ambientale».
In chiusura torniamo a Modena. Ma uno Swatch interamente dedicato alla nostra città?
«Beh - sorride - potrebbe essere un foodwatch...».
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